E’ preoccupante pensare che siamo ancora qua, ad un anno di distanza: ospedali sotto pressione, scuole chiuse, molte attività alla canna del gas. L’inizio della vaccinazione di massa per ora non ha dato gli effetti sperati, complici disguidi e disorganizzazione. E complici le solite storture del sistema: il personale sanitario può non vaccinarsi (e quindi può infettare i malati) ma, se si infetta sul lavoro, deve essere risarcito.
Intanto sorgono dubbi: perchè non rendere obbligatoria la vaccinazione per gli operatori sanitari? Perchè non utilizzare, per velocizzare la campagna vaccinale, i centri privati come hanno fatto Isreale, Gran Bretagna e USA? E siamo sicuri che sia più sensato vaccinare un 90enne bloccato in casa piuttosto che uno studente che così potrebbe andare a scuola senza rischiare di contagiare genitori e nonni? Siamo sicuri che un magistrato debba avere la priorità su una cassiera di un supermercato?
E poi ci sono i negazionisti, quelli che ti martellano con frasi del tipo “senza tamponi, non c’è pandemia” e “senza vaccino, ci sono le cure”. E insistono sull’altissima guaribilità del Covid, che supera il 95%. E allora ripensiamo allo scorso febbraio: tutti, almeno all’inizio, siamo stati un po’ scettici… Finchè ci hanno detto che un comune amico era intubato. O che quel conoscente, che avevamo sentito 15 giorni prima vivo e vegeto, di colpo non c’era più.
Certo, la zona rossa non è come un anno fa. La gente esce, passeggia, va a prendere il pane e il latte una volta al giorno, porta i figli al parco. Le famiglie si incontrano la domenica a pranzo nel segreto delle loro case e, come spie del KGB, si scambiano pasta al forno e tiramisù. Hanno scelto il rischio corribile per non sacrificare la salute mentale dei loro figli. Vivono nell’ansia di diventare di colpo contatti diretti piuttosto che rischiare la depressione della sindrome della caverna. La paura dell’irrazionale che c’era lo scorso marzo è solo un ricordo. Allora eravamo immobilizzati dal terrore, non sapevamo come comportarci: disinfettavamo i Tetra Pak, lasciavamo i vestiti all’aria aperta. Certo, le scuole sono chiuse e i parchi gioco sono impacchettati come un anno fa. E le sirene delle ambulanze non smettono di suonare.
E’ una strana sensazione: quella di vivere una vita sospesa. Ci hanno insegnato ad abituarci a tutto: i dati su contagi e morti sono scivolati più in basso nelle prime pagine dei giornali e non fanno più notizia i racconti dagli ospedali che ci spaventavano a marzo. E la routine della domenica (Messa + calcio) ci illude che questa normalità non sia finta.



