martedì, Dicembre 2, 2025

Non ne siamo ancora fuori: quindi occorre lottare uniti, senza polemiche. Eppure l’attacco a cui è stata sottoposta la Lombardia è un perfetto esempio di sciacallaggio politico-mediatico. Un attacco strumentale, dettato da un complesso di inferiorità verso i primi della classe tenuto a freno per decenni. Certo, ci sono stati degli errori (era impossibile non farne), ma non tali da giustificare tanto furore ideologico. Ma si sa: gli Italiani sono tutti strateghi a posteriori, non solo in campo calcistico.
Hanno scritto che in altre regioni l’emergenza è stata affrontata meglio: ma come si può paragonare un’area industriale interconnessa come quella compresa fra Milano, Bergamo e Brescia con la campagna emiliana o i Colli Euganei? Come si può paragonare la portata di un virus che ha come focolaio un ospedale con la carica di un virus che ha come focolaio un bar di paese?
Ma l’attacco più vergognoso riguarda la scelta di mettere i pazienti Covid dimessi nelle RSA, come se lo avesse fatto solo la Lombardia. L’ecatombe delle RSA ha riguardato tutta l’Europa: i decessi in Spagna e in Francia sono più del doppio che in Italia. Non lo dico io, lo certifica l’OMS.
I due maggiori errori, in realtà, ce li portiamo dietro da tempo. il piano per le pandemie del 2010, dedicato all’H1N1, evidenziava due lacune: la medicina territoriale e la tutela delle RSA. Purtroppo in dieci anni quelle lacune sono rimaste tali.

Il baco creato da quella scarsa lungimiranza è stato peggiorato dalla riforma sanitaria del 2015: giusta nei suoi intenti di base (sgravare gli ospedali dai pazienti non acuti), ha creato però un ATS metropolitana enorme, che di fatto non è riuscita ad essere la cabina di regia tra medici di base, ospedali, RSA e pazienti. Proprio per questo, fanno sorridere le accuse al Modello Formigoni, come se gli affanni di oggi dipendessero dalle scelte di dieci anni fa, come se gli accreditamenti di allora avessero riguardato strutture farlocche: in Lombardia abbiamo eccellenze private ed eccellenze pubbliche che attraggono ogni anno milioni di pazienti da tutta l’Italia e che hanno lottato fianco a fianco contro il Coronavirus.

Chi impose i tagli alla sanità, come Monti e Cottarelli, invece pontifica in prime time. Non manca ovviamente Saviano, che rigorosamente va all’Estero a parlar male dell’Italia, un vecchio e pessimo vizio dei nostri intellettuali di sinistra. Ma avete visto Saviano e gli altri maestri dei Diritti Civili a fianco di medici e infermieri che morivano come in guerra? Qualcuno ha visto Richard Gere all’ospedale da campo di Cremona? Avete visto qualche sardina in Val Seriana distribuire bombole di ossigeno agli anziani che morivano soffocati nelle loro case? Avete visto la Boldrini manifestare a Pontevico in difesa dei disabili decimati nella RSD? Qualcuno ha visto il popolo viola lavorare fianco a fianco con gli alpini per costruire in tempi da record l’ospedale da campo di Bergamo?

Eppure anche in questa emergenza c’erano in gioco dei diritti: il diritto di dare un estremo saluto ai morti, sancito dalla Costituzione. Certo, non erano i diritti dei profughi: erano quelli dei nostri anziani, che hanno ricostruito il Paese nel Dopoguerra, in silenzio, come in silenzio se ne sono andati. Qui non c’era da tirarsi un secchio di acqua gelata in testa per dare un segnale contro la SLA. Qui si rischiava di morire davvero. Ma un maestro dei diritti civili non può morire: la sua azione di sensibilizzazione delle coscienze è troppo preziosa. Così non si sono fatti vedere.

Come nessuno, per due mesi, ha visto Giuseppe Conte. La responsabilità del Governo, però, non va taciuta. All’inizio ha ostacolato l’operato di Fontana: prima sull’ospedale in Fiera, poi sulla creazione della zona Rossa in val Seriana e nel Bresciano (ancora l’8 marzo, di fronte alla richiesta di Fontana di chiudere tutto, il Premier diceva: “Ascoltiamo le proposte delle Regioni, ma non quelle emotive”). E il 27 aprile Conte, in visita a Bergamo, ha avuto il coraggio di stizzirsi per le domande di una giornalista sulla mancata zona rossa. Non distante, il viale su cui avevano sfilato, solenni, i camion militari pieni di bare, in una sorta di parata lugubre, senza musica nè fiori.

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