martedì, Dicembre 2, 2025

La mia generazione, quella nata nella seconda metà degli anni ’70, è cresciuta a pane, guerre e attentati. Prima della sconfitta finale delle BR e dell’avvento della Perestrojka, la nostra vita di bambini fu funestata dal tam-tam mortifero delle edizioni straordinarie dei TG: dagli omicidi delle Brigate
Rosse alle bombe sui treni (ho ancora vivido il ricordo del Natale di sangue a San Benedetto Val di Sambro), passando per gli attentati terroristici arabi con dirottamenti (Achille Lauro), aerei fatti esplodere e i missili libici a sfiorare Lampedusa come avvertimento.

E poi i conflitti Iran-Iraq e URSS-Afghanistan, le Falkland, le bombe dell’ETA e dell’IRA, Beirut… Dovunque ci si girasse, stragi di innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma la massima angoscia era provocata dall’escalation USA-URSS con la corsa agli armamenti e la minaccia nucleare. Erano gli anni di Mathias Rust che atterra sulla Piazza Rossa con il suo aereo da turismo e di film inquietanti come “War Games” e Alba Rossa”.

Gli adulti placavano la mia ansia, usando la logica e dicendomi: a nessuno conviene sganciare la prima bomba, è tutto un gioco delle parti a chi minaccia più forte. Ora, da adulto e da genitore, cresciuto in quegli anni di sangue, faccio però fatica a instillare, a mia volta, serenità. Forse perché allora a reggere il mondo c’erano dei giganti come Reagan, Gorbaciov, Mitterand, Kohl, Thatcher. Dagli statisti siamo passati purtroppo agli stagisti dei giorni nostri (meglio non citarli) che negli anni ’80 avrebbero fatto al massimo i portaborse.

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