Caro Premier ti scrivo, come fosse la letterina di un bambino che chiede a Babbo Natale la pista per le macchinine. Perché solo con gli occhi ingenui di un bambino si riesce a non perdere la speranza se ci si guarda intorno in questa nostra Italia disastrata. Continuo a credere che ci salveremo, comunque. E che ci sarà un futuro per i nostri figli e per i nostri nipoti. Però, caro futuro Premier, di qualsiasi coalizione tu sia, alcune cose vanno sistemate, sono ormai improcrastinabili.
Vorrei vivere in un Paese che investe nei giovani, nella ricerca, nell’istruzione, dove i cervelli non scappano. Vorrei vivere in un Paese in cui si lotti veramente contro l’evasione (cioè abbassando l’IVA e non solo a proclami) e dove ci sia una pressione fiscale più umana per famiglie e imprese. Vorrei un Paese con una burocrazia ridotta al minimo, dove le aziende straniere possano investire senza la paura di restare impantanate e dove le nostre imprese non siano più costrette a fuggire. Un Paese in cui i processi civili si celebrino velocemente e dove non ci siano circa 35.000 fattispecie di reato. “Corruptissima re publica plurimae leges” diceva un certo Tacito, anni fa… A nessuno dei Soloni moderni viene il dubbio, invece di riempirsi la bocca con l’anticorruzione, che il problema è a monte ovvero nel garbuglio legislativo?
Vorrei vivere in un Paese in cui una turbativa d’asta non venga punita come un omicidio, dove non si possano trovare attenuanti per uno che fa a pezzi una donna e dove un mafioso non possa essere scarcerato solo per un vizio di forma. Vorrei vivere in un Paese in cui la magistratura faccia la magistratura, senza inseguire i riflettori come fosse a X Factor: un Paese dove i giudici non montino casi contro le nostre multinazionali all’estero, screditandole e creando un danno economico irreparabile (ve l’immaginate un giudice di Berlino che apre un’inchiesta sui comportamenti di una multinazionale tedesca in Africa?); un Paese dove se un giudice sbaglia, paghi; un Paese dove ogni legge che qualsiasi Governo tenti di fare per riequilibrare i poteri dello Stato non venga interpretata come liberticida o come un attacco all’indipendenza dei giudici o dei mass-media. Vorrei un Paese dove la politica non continui ad abdicare al suo ruolo, indebolendosi fatalmente, solo per solleticare la pancia dell’elettorato giustizialista o per paura che qualche fascicolo possa essere aperto da un momento all’altro.
E vorrei un Paese moderno, dove ad ogni infrastruttura da realizzare non si sollevi il comitato di turno per ostacolarla. Un Paese dove non si mangi tutti i giorni pane e retorica, dove gli estremismi vengano trattati allo stesso modo, dove se difendi la famiglia tradizionale non vieni accusato di omofobia e dove se difendi la nostra identità e la nostra Fede non vieni accusato di razzismo. Un Paese dove si taglino finalmente gli sprechi, ma quelli veri, non quelli che fanno audience.




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