Le notizie di cronaca nera che ci martellano nelle ultime settimane ci pongono in modo angosciante un interrogativo: quanto vale ormai la vita umana?
Mamme che sotterrano i neonati in giardino per poi partire per New York; ragazzi che sterminano la famiglia e infieriscono sul fratello minore; mamme che si buttano con la figlia nel fiume; senza dimenticare il solito bollettino di guerra dei femminicidi che ormai travalicano i limiti anagrafici con mariti ultrasettantenni che preferiscono finire la vita in prigione piuttosto che proseguire il matrimonio.
Come mai siamo arrivati in fondo a questo baratro? Di chi sono le responsabilità? Dietro ai genitori che decidono di uccidersi insieme ai figli c’è la solitudine, il non avere più una rete di sostegno forte, una comunità coesa. Chattiamo con tutti in tempo reale, abbiamo 1.000 amici su Facebook e 500 followers su Instagram ma, quando ci sconnettiamo, siamo soli con i nostri incubi più cupi.
Assuefatti al virtuale, non reggiamo più le sfide della realtà: i rapporti umani sono parcellizzati, non abbiamo più voglia di fare una telefonata perché tanto ci sono i messaggi vocali, l’hic et nunc ha distrutto le progettualità e la responsabilità delle amicizie perchè troppo impegnative.
E dietro ai gesti estremi dei figli? La cultura dominante degli ultimi anni – che ha tolto la parola “morte” dai palinsesti e ha desacralizzato la vita – non li ha resi consapevoli dell’irreversibilità di certe scelte. E noi genitori, esclusi dal loro mondo, fatichiamo a decifrare i segnali di disagio, aspettando invano che ci chiedano aiuto.
Grazie alle app, sappiamo in tempo reale che voto prendono e dove si trovano, ma non riusciamo più a vedere la disperazione che hanno dentro.



