martedì, Dicembre 2, 2025

Il Comune di Milano ha ricordato, lo scorso 15 maggio, la strage del cinema Eros, ponendo al numero 101 di viale Monza (dove oggi c’è la sede della Comunità cristiana dello Spirito Santo, un paradosso…) una targa in memoria delle sei vittime dell’incendio doloso che fu appiccato, il 14 maggio 1983, nella sala a luci rosse con una trentina di persone dentro, cospargendo di benzina il pavimento e le poltrone delle ultime file. Chi non riuscì a mettersi in salvo dalle porte laterali, divenne una torcia umana e morì dopo interminabili giorni di agonia.

Una settimana dopo il rogo, all’Ansa arrivò il comunicato del movimento neonazista Ludwig, responsabile di diversi omicidi negli anni ’70 e ’80 di persone considerate “border line”: “Rivendichiamo il rogo dei cazzi… Una squadra della morte ha giustiziato uomini senza onore”.

In questa frase delirante sta tutta l’atroce assurdità di quegli anni (tutt’altro che formidabili) e l’ipocrisia moralista che ha fatto calare l’oblio sulle vittime di viale Monza. Eppure, dopo quella di Piazza Fontana, è la strage più grave capitata a Milano nel Dopoguerra (ma si commemorano solo quelle della Questura e di via Palestro).

Eppure le vittime del cinema Eros, tra i 25 e i 37 anni, erano persone comuni, come quelle dilaniate nella Banca Nazionale dell’Agricoltura. Però fino al 15 maggio scorso, per 40 anni, non ci sono state né corone di fiori né discorsi pubblici di commemorazione perché il perbenismo ha ritenuto che il loro sacrificio non fosse degno di essere ricordato: erano morti di serie B perché erano bruciati vivi in uno squallido cinema porno di periferia e non in una banca del centro città.

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